Perché un vademecum per il viaggio verso il futuro
Se c’è qualcosa in cui i tempi si somigliano più strettamente è nella constatazione, della quale tutti possono avere esperienza, che essi non danno mai motivo per abbandonarsi a una rilassante tranquillità d’animo e i tempi nei quali viviamo non fanno eccezione alla regola. Non soltanto sono sempre attive qua e là cause di preoccupazione che turbano i sonni di quanti vorrebbero giustamente dimenticare i guai del mondo per concentrarsi su quelli personali e mantenersi in una provvisoria tranquillità d’animo, ma sono servite continuamente guerre ed epidemie che sembrano sollevare nubi minacciose persino sulle passeggiate all’aria aperta del pacifico padre di famiglia che cerca di riconciliarsi con la famiglia e il mondo. A questi motivi di preoccupazione presenti in ogni epoca, il mondo moderno, che potrebbe condurre una vita di tutto riposo, ne aggiunge altri di suoi circa il presente e il futuro, entrambi gravidi di cataclismi reali o temuti rispetto ai quali quelli del passato, che pure non scherzavano, appaiono, a sentire giornali e televisioni, degli assaggi che appena servono a dare l’idea.
Eppure, mai come oggi le speranza per un futuro migliore sono sembrate così ben fondate. Si va maturando la convinzione, ormai diventata un vero e proprio articolo di fede, che una vita spesa in compagnia di macchine sempre più veloci e sempre più sicure del proprio diritto di prendere il nostro posto, sia una vita ben spesa e che per di più autorizza a venir ascoltati quando nel bar o per strada ripetiamo i giudizi ascoltati il giorno prima dalla televisione o letti sui giornali. Non possiamo lamentarci nemmeno per la carenza di giudizi in circolazione perché macchine più intelligenti di noi ne sfornano a ritmo continuo ad ogni ora del giorno e della notte e per ogni occasione i quali, per nulla apparentati alle opinioni umane, sono prese per oro colato da quanti dovrebbero invece giudicarli, se appena si ricordassero degli obblighi nei propri confronti.
Qui nessuno vuole dimenticare che giornali e televisioni sanno come portare le più sacre verità del giorno, destinate peraltro a passare all’oblio la sera, all’uomo della strada, l’uomo cioè preoccupato soprattutto ad evitare i sassi nei quali si va ad inciampare che perciò è anche l’uomo indifferente a tutto il resto. Essi, che pensano di parlare a ciascuno di noi e, insieme, ai milioni, sono anche imprese capitalistiche che il capitale vuole veder fruttare ossia, produrre altro capitale, se ne infischiano della verità contentandosi di praticare il verosimile, che è l’arte di far credere alle mezze verità le quali, lette da un’altra parte, non sono altro che mezze bugie. A sostenerle c’è poi la convinzione che non accada fatto sulla faccia della terra se non sono essi a certificarlo con tanto di inchiostro o di sfarfallio di luci variamente colorate. Privato di una facoltà di giudizio che risiedeva nell’animo, egli sia stato spinto a continuare su una strada non sua della quale non sa dove potrà portarlo.
Così, mentre ci chiediamo come salvare i nostri propositi, isole di consapevolezza che spuntano negli oceani dei nostri silenzi, dai piani di coloro che pensano in grande e non lasciano niente al caso, ci rendiamo conto che diventa sempre più difficile distinguere tra il profluvio delle informazioni dell’inesistente o intgerpretare i silenzi sui loro affari, ivi comprese le spiegazioni di ciò che non chiede di venire spiegate.
E mentre le potenze del giorno si fanno forti delle loro certezze che non si stancano di ripetere in tutte le ore del giorno e della notte, per salvarci abbiamo soltanto il nostro oscillante giudizio che si accende su quanto percepiamo o intuiamo. Così il nostro cammino nel mondo sarà quello oscillante di chi procede per tentativi, per prova ed errore, dove quindi ogni errore, sciolto nei suoi elementi che diventano termini di possibili spiegazioni, possa venir eliminato o sciolto dalla massa di idee confuse nella quale si trova aggrovigliato e cambiare il nostro modo di guardare il mondo, di ciò che possiamo aspettarci da esso.
Mentre viviamo e siamo alle prese con scelte importanti e meno importanti, siamo dunque costretti a pensare e a rendere chiari a noi stessi cosa vogliamo, sappiamo e possiamo, dunque a conoscere il mondo in cui viviamo, incluse le sue tendenze che riguardano presente e passato, che sono i tempi in cui germoglia il futuro. Ma per quanti sforzi facciamo, cosa il futuro prepara per noi resta inaccessibile e ogni passo in questa direzione non può che restare un tentativo affidato alla benevolenza delle divinità, come ben sapevano gli uomini di altri tempi che facevano vigilare i crocicchi dalle figure degli dei. E facciamo propositi rivolti al futuro perché sentiamo il peso e la vergogna dei nostri errori e delle nostre ingiustizie, commessi quando, accecati dalle passioni e dall’istinto che ci costringe a voler comunque vivere, siamo stati precipitosi nella scelta e abbiamo trascurato fattori che non erano da trascurare e che desideriamo non ripetere più. Arriviamo a una vita intesa come successione di tentativi, o come riduzione progressiva degli errori che lo stesso vivere, col suo sordo sentimento, non fa altro che moltiplicare e nutrire, è anche successione di chiarimenti, di una sempre migliore comprensione di ciò che si sa e si vuole. La confusione e lo smarrimento nei quali ci precipita il sentire è dunque la condizione perché si faccia apprezzare con maggior forza la volontà di riemergere nella luce di una verità che sia nostra come del mondo e sappia resistere alla forza corrosiva degli eventi imprevedibili. Ciò che si sa è la garanzia che anche ciò che si vuole rientri nell’ordine delle cose, perché nessun volere può risultare efficace nelle tenebre dell’ignoranza, figlia e madre dei pensieri che vegetano nell’indigenza e nella sterilità del reciproco isolamento.
Ma per diventare i padroni dei nostri giudizi dobbiamo fare nostre le parole che usiamo e con le quali diamo forma alle nostre volizioni e comprendiamo i moventi che le promuovono. In altre parole, è vietato parlare tanto per parlare o acconsentire a proposizioni senza prima averne saggiato il valore di verità, che sarebbe accordare giudizi e percezioni non cedendo passivamente alle verità messe in circolazione dai padroni dei megafoni soltanto per il rumore che fanno e per le folle che radunano. Perché la mente umana si è sviluppata soltanto accogliendo le proposizioni vere e rifiutando le false, in quanto soltanto le prime sono in grado di stabilire vasti ordini di relazioni a partire dalle quali si può sperare di individuare i semi del futuro, quindi fare propositi che siano più di sogni ad occhi aperti.
Diventare padroni del nostro giudizio, che si rivolga al mondo o a noi stessi, ecco il compito che ci aspetta. Compito quanto mai decisivo che presuppone la padronanza di una lingua che sappia parlare tanto del mondo quanto di noi che l’osserviamo e trasformiamo, la condizione da rispettare se vogliamo riappropriarci delle nostre percezioni le quali, senza giudizi che nascano in uno con esse, tornano ad essere accompagnate dai grugniti di bruti soddisfatti o impauriti. Queste percezioni, accompagnate da giudizi che ce le rendono comprensibili, ci fa diventare quello che siamo e ci lega a una comunità di destino senza la quale né noi né chi vive con noi potrà salvarsi. E se le potenze del giorno, i signori del denaro che vivono per cercare altro denaro, pagano esperti per fabbricare giudizi artificiali e ce li comunicano con un sorriso, non lo fanno certo per allievarci dalla fatica del pensare e giudicare da noi stessi, quando si può vincere come anche fallire. Essi mirano a impadronirsi di noi, prima dei nostri giudizi, poi dei nostri propositi e infine delle nostre stesse vite.
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