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ITTIOLOGIA FINANZIARIA(Una scienza utile per sopravvivere nel mondo globale)

Più ci si immerge nelle profondità degli oceani finanziari, più si esplorano i suoi anfratti dove la luce del sole fa fatica a penetrare, più strane creature vengono scoperte, sebbene è da dirsi che non vi manchino nemmeno quelle già studiate e classificate nelle loro attitudini specifiche dai manuali scientifici. Nelle grandi distese oceaniche i loro corpi flessuosi si muovono liberamente e cautamente, come si conviene a persone discrete, senza mai compiere un gesto brusco. Se  lanciano segnali tranquillizzanti, non lo fanno certo perché si sono convertiti a  più miti comportamenti alimentari ma per non allarmare le possibili prede, leste a mettere al riparo il gruzzoletto  faticosamente radunato sotto il materasso. La tecnica mimetica preferita da queste creature sempre affamate consiste nel rivestirsi dei colori che più allettano gli abitanti del reef, a loro volta alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, e se il rosso, il colore dei futuri radiosi, sembra fatto apposta per attirare quanti vivono con la speranza di un pasto gratis, nemmeno l’azzurro, come più facile a mimetizzarsi nell’acqua circostante, viene trascurato.

L’arte mimetica ha la sua utilità perché serve a disorientare le future  vittime le quali, nella loro semplicità e ignoranza delle regole che vigono nei fondali oceanici, scambiano le paroline dolci, che non costano nulla come le promesse, per il dolce che viene servito a fine pranzo. Altrettanto efficace è l’arte intimidatoria, che consiste nel galleggiare mettendo in mostra tutti i denti per far sapere chi comanda. In una simile arte, che si impara ascoltando la voce dello stomaco, serve più la dotazione naturale,  avere denti e artigli affilati ed un  apparato di sensi sviluppato più che negli altri animali e atto a guidare  verso le prede che a questo punto possono soltanto sperare nella velocità delle loro pinne.

Gli squali bianchi sono chiamati in questo modo per avere il ventre di un colore bianco latteo. Ma questa è la sola nota gentile che li  caratterizza perché il loro sguardo di animali preistorici non lascia dubbi sulle loro intenzioni. Possiedono mascelle armate di doppia fila di denti adatti sia per afferrare  e trattenere le prede, che sono soliti  ingoiare per intero, scheletro compreso.  Infatti, hanno un morso caratterizzabile tecnicamente come frontale, a viso aperto, come nella borsa valori, dove effettivamente non si fanno prigionieri, sebbene non disdegnino attaccare lateralmente, da destra o da sinistra per loro fa lo stesso, almeno a giudicare dalle impronte lasciate dai denti sulla carne di quanti hanno avuto la fortuna di  lasciare  nelle loro bocche soltanto una parte di se stessi, oppure scorrendo i loro giornali grondanti di altruismo e solidarietà con quelli che chiamano gli “svantaggiati”.

Preferiscono cacciare nelle profondità dei fondali marini, insieme ad altri mostri voraci, a causa della scarsa luce che vi penetra dall’alto e dove il profano si smarrirebbe nella vegetazione dei termini tecnici e delle leggi che contribuiscono a renderli ancora più impenetrabili, essi trovano l’ambiente più favorevole alla riuscita delle loro imprese. Hanno un appetito insaziabile e in un solo pasto possono ingoiare carne sino ad un sesto del loro peso, come hanno scrupolosamente calcolato gli scienziati del ramo. Cacciano da soli o in branchi, preceduti e seguiti da  codazzi di ciarlieri animali marini dai colori vivaci utili per attirare le vittime predestinate, ricompensati con gli avanzi dei pasti, ma pur sempre sostanziosi. Branchi di questi squali vengono avvistati nel reef caraibico, dove sono una specie protetta dalle legislazioni locali che così diventano benemerite  nei riguardi della protezione di questa speciale fauna marina.

Con tutto il loro appetito insaziabile, si tratta alla fine di animali riservati ed è raro che vengano alla superficie, ma allora, attirati dall’odore dei risparmi dell’ignaro  pensionato o della casalinga ancora più ignara,  prediligono cacciare nelle vicinanze delle banche, soprattutto di quelle dalla denominazione più caritatevole o che addirittura dicono di essere sotto la protezione di qualche santo.

Lo squalo tigre invece usa frequentare le acque base e cacciare di notte, per sfruttare meglio la capacità di visione dei suoi occhi adattati alla vita  notturna. E questo non perché sia stato messo sulla strada del malaffare dalla cattiva compagnia, come si dice di ogni teppista,  ma perché è un delinquente nato. Infatti, dietro la retina ha una membrana che riflette la scarsa  luce notturna  col risultato di aumentarne la capacità di visione.  Si avvicina furtivamente alla preda, che afferra dal davanti e ingoia per intero, aiutato in questo dalle sue mascelle svincolate dal cranio, accorgimento che serve ad amplificare l’apertura della bocca. Come gli altri squali, anche lo squalo tigre è molto sensibile al rumore, a quelli che gli segnalano  l’approssimarsi della preda come agli altri che vengono fatti intorno alle sue imprese che potrebbero metterlo in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica del reef. Essi infatti  non prendono sotto gamba la reputazione, soprattutto perché i pesciolini che sono le loro vittime giudicano soltanto sulla base della reputazione, che oggi vengono fate da giornali e televisioni di proprietà degli stessi squali, le sole finestre attraverso le quali essi  guardano il mondo.

Anche lo squalo detto tagliatore ci tiene al rispetto generale, a passare per amico del popolo e del progresso ed è fornito di due formidabili file di denti, una superiore  per afferrare e una inferiore per strappare la carne della vittima, con le quali mette in pratica il suo intento filantropico. Tuttavia, le fauci dello squalo tagliatore sono un giochetto per bambini rispetto a quelle dello squalo della Groenlandia, che si segnala per la sua tecnica raffinata,  certamente frutto di una lunga evoluzione,  che consiste nell’afferrare la preda e poi girare su se stesso per strappare il morso. A sua volta,  con tutti i suoi doni di natura, lo squalo della Groenlandia farebbe una ben magra figura rispetto a quello detto del collare, dotato di un’apertura mascellare enorme che gli permette di ingoiare la vittima per intero. Si dirà che la colpa è della vittima che, mettendo piede in una banca,  si è pure messa in affari con i pescecani, i quali sono così cortesi da  mettere i clienti dinanzi a una selva di clausole la cui oscurità non diminuisce per il fatto che sono scritte in caratteri microscopici. E poi ci si lamenta se i semplici finiscono nelle reti dei complessi. Lo squalo del collare non usa né parole suadenti né ragionamenti capziosi per attirare le sue vittime, ma si limita ad irradiare strane luminescenze colorate che possono andare dal verde al rosso,  per definizione i colori del progresso e dell’avvenire, come ripetono alcune  canzonette un giorno alla moda tra i lavoratori.

Resterebbe da dire qualcosa di un altro insigne abitante degli oceani finanziari: lo squalo balena, il quale deve sì distinta denominazione non tanto alla sua mole, peraltro considerevole, ma per avere al posto dei denti che sembrano fatti apposta all’omicidio o, almeno, al furto violento,  un sistema di fanoni simili a quelli delle balene, adatte più a imprigionare i piccoli animaletti che entrano nella sua bocca che a mordere e lacerare. Le sue abitudini alimentari lo portano quindi a rivolgersi alle “masse” piuttosto che alle prede di grossa taglia, essendo il suo pasto ordinario fornito dai branchi di sardine, che si sentono al sicuro, protette tanto dalla loro piccolezza che dall’anonimato del numero. Le tecniche di caccia dello squalo balena sono perciò più mirate ed elaborate e si giovano della cooperazione di tonni dalla parlantina sciolta, quella che ci vuole per convincere le sardine parlando da uno schermo televisivo, tra i bagliori di luci fosforescenti  che bastano da soli ad abbagliare e incantare lo spettatore serale . Esso infatti si avvicina al branco, apre la bocca e se ne sta immobile mentre i torni si danno da fare per spingere le sardine ad entrarvi, certamente usando gli argomenti più adatti. I quali a lavoro terminato, saziata la loro fame con le briciole lasciate dal padrone,  se ne tornano a casa convinti di aver compiuto opera meritoria, come deve venir considerata quella di dar da mangiare agli affamati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FORMICHE, CICALE E GRILLI: Esiste una via elettronica per la democrazia?

Le formiche, che in fila indiana trascinano il loro peso verso il formicaio, sono silenti. Difficile sentirle protestare, occupate come sono dalla strada da seguire e ad evitare i predatori di tutte le specie sempre in agguato e pronti ad appropriarsi delle fatiche degli altri. Il loro motto è lo stesso di quello adottato dagli sgobboni di scarsa fantasia:”tacere e lavorare” o dai sistemi di governo che pensano a tutto e vogliono evitare ai sudditi la fatica di usare la propria testa. Sono coscienziose e giudiziose, le formiche, e occorre aspettare la sera  perché smettano di lavorare e si preparino per la cena, proprio come fanno molti degli umani.  Ma da questo punto di vista le formiche debbono ritenersi più fortunate degli umani perché i pezzi grossi del formicaio non possono ingurgitare cibo oltre una frazione  del loro peso, per cui  soltanto per la garanzia costituzionale di questa legge di natura le formiche operaie non vanno a letto senza cena. Nella loro semplicità di esseri che vivono a contatto con la terra, trovano naturale persino le catene dalle quali però non traggono materia per sparlare tutte le volte che,muso contro muso, hanno occasione d’incontrarsi ma, ignare di metafore e della retorica da piazza o televisiva, sulle quali si sono costruite e si costruiscono delle vere fortune. Abituate a chiamare pane il pane e  il sudore della loro fronte sudore, non si sognano nemmeno di considerarlo come una punizione inflitta ai figli per i peccati commessi dai più lontani genitori o il segno distintivo di una nobiltà nuova, riservata proprio al popolo lavoratore.

Invece, per le cicale appostate tra i rami delle querce, degli ulivi, dei cipressi(che sono alberi non certi messi per rallegrare i luoghi dei morti) e persino sulle margherite, fiori dei campi, nonché sui rami di altri vegetali della selva italica, le cose vanno diversamente. Spargono il canto sotto il cielo azzurro convinte che niente possa succedere senza un loro commento. E infatti commentano, senza trascurare di  aggiungere che soltanto esse conoscono i reali bisogni delle silenti formiche e sanno rappresentarle nelle istanze costituzionali.  Chi si trova in alto non solo può risparmiarsi le molte fatiche di chi si trova invece a livello del suolo ma può far credere che nel migliore dei mondi possibili le formiche sono state create per lavorare e le cicale per informare, educare, rappresentare e cantare. Così va oggi il mondo e, temiamo continuerà ad andare nel futuro.

L’errore delle formiche non consiste tanto nel lavorare e di chiamare le cose col loro nome, come non può evitare di fare chi lavora per il quale l’azione transita sempre dal soggetto all’oggetto, quanto di ignorare la libertà di manovra nei confronti delle  parole da parte  delle cicale che si guardano bene dal mettersi  a lavorare e, ricche dell’antica arte di chi sa congegnare frasi simili al vero, fanno sempre transitare l’azione sulle spalle dei sottoposti mentre ne dirottano i frutti nelle loro tasche.

Ecco perché è tempo per le formiche di alzare la testa e,invece di lasciarsi cullare dalla musica suadente delle cicale e degli altri parassiti appostati sui rami del bosco, o imprecare  contro il destino cinico e baro, cominciare ad apprendere come snidarli dalle loro comode postazioni senza dover incendiare il bosco e se stesse.

Una via garantita dal successo passato esiste ed è quella che insegna a vedere. dietro gli orpelli del potere, se non di “che lagrime grondi e di che sangue” la sua propensione ai più prosaici abusi, all’ingordigia dell’altrui alla quale non sa resistere, alle menzogne ad essa funzionali, i giochi di parole,e emissioni e le amplificazioni così utili per annebbiare i cervelli degli elettori. Ma siccome una via come questa richiede  tempo e fatiche, nonché letture assai diverse da quelle che sono nelle corde delle formiche, ne resta un’altra più alla loro portata, perchè in fondo si può essere formiche e silenti quanto si vuole,  ma occorre pur usare parole per comunicare e vivere in armonia con gli altri abitanti del formicaio. Da qui per le formiche l’utilità di conoscere come nascono le parole, le quali possono nascere dalle cose e venire al mondo animate da spirito di verità, ma possono anche, animate da intenti che soltanto l’orecchio esperto sa riconoscere,  mettere al posto delle cose la  loro ombra e anche qualcosa di meno denso dell’ombra. Arte nuova che solleva dai luoghi chiusi e spesso silenti in cui si svolge la vita privata alle regioni asciutte della vita pubblica, dove ogni pensiero, anche il più tortuoso, diventato di dominio generale,  può venir giudicato senza che ne riceva torto perché, dove i giudizi si incontrano e confondono le loro acque, i torti di molti si compensano, o almeno si attenuano, per far emergere qualcosa di analogo al vero, quel vero che è medicina per l’anima e suo tonico. Nella libera piazza, dove le libere opinioni hanno accesso e dal confronto emerge quella in grado di esprimerle tutte,  poco spazio resta tanto alle unilateralità delle affermazioni più sicure di sé del padrone della borsa, come alle parole  plastificate del demagogo al suo servizio,  tutte precipitate al rango di opinione che debbono lottare per l’esistenza.

L’arte di farsi sentire pur restando attaccati alla terra e alle cose, dai loro orizzonti all’apparenza ristretti, non è delle formiche né delle cicale. E’ piuttosto arte da grilli che dal loro buco, estro permettendo, non smettono di far sentire una voce che oggi, nell’epoca della comunicazione totale,può giungere alle orecchie di altri grilli e diventare, da opinione personale quale era in partenza, fatto pubblico, a scorno dei gazzettieri e altri fabbricanti dell’opinione pubblica.

Si sottovaluta la portata di questa attività grillesca pensando che sia una conseguenza del mezzo di cui occasionalmente ci si serve. Il suo orientamento generale soltanto in apparenza è lo sfogo di sentimenti repressi, dell’impotenza a cambiare il corso delle cose, soprattutto quando corrono a suo danno. Costretto a prendere forma dal mezzo, lo sfogo  diventa presto opinione. Organizzato, eliminando le inevitabili stonature, può contribuire alla formazione di una coscienza indipendente dai mezzi manovrati dal capitale in veste di informatore ed educatore, una coscienza ritagliata sulle esigenze personali e, proprio per questo,  più sicuramente generale e pubblica.

 

Settembre 2012

 

 

 

 

 

AMBROGIO LORENZETTI: Il buono e il cattivo governo a Siena

Dopo una vicenda di torbidi e lotte interne ed esterne, tra il 1287 e il 1355 il comune di Siena fu retto da un regime di estrazione popolare e mercantesca, con a capo la magistratura dei Nove che escludeva tra i suoi componenti i nobili. Nel 1338, ricevuto l’incarico dai Nove, Ambrogio Lorenzetti inizia a dipingere sulle pareti della Sala detta dei Nove, nel Palazzo Pubblico di Siena, il ciclo degli affreschi sul Buon e sul Cattivo Governo a istruzione della popolazione sulla natura dell’ordine politico e  ammonimento a proseguire sulla via intrapresa.

Il ciclo, che si estende per una lunghezza di 35 metri, comprende sei dipinti. Nel primo, l’Allegoria del Buon Governo, il Comune, nelle sembianze di un saggio monarca, è come assiso in trono, affiancato dalle figure allegoriche della Pace, la Giustizia, la Temperanza, la Fortezza, la Magnanimità e la Prudenza, mentre sul suo capo siedono,  in vesti di consigliere, tre figure femminili, le virtù

A.Lorenzetti(1285 circa-1348):Allegoria del Buon Governo(Palazzo Pubblico-Siena)

A.Lorenzetti(1285 circa-1348):Allegoria del Buon Governo(Palazzo Pubblico-Siena)

teologali:Fede, Speranza e Carità. La giustizia, come mostra la figura con la bilancia, divide,senza fare distinzioni tra popolani e nobili, i buoni cittadini dai reprobi. Accanto, i due affreschi sugli effetti  del buon governo in Città e in Campagna. Una folla di persone troppo intente alle loro occupazioni ordinarie per partecipare agli odi e alle lotte di fazione. La vita si svolge in un clima di concordia e serena fattività in cui a ciascuno è dato di contribuire al benessere generale col proprio lavoro, nella mentalità dell’epoca  meno  scelta personale che il segno di un destino decretato da Dio stesso.

Effetti del Buon Governo in città

Effetti del Buon Governo in città

 

Se l’Allegoria raffigura le cause ideali, i due successivi affreschi, sugli Effetti del Buon Governo ne rappresentano le conseguenze nella vita mondana, sul piano economico, etico e politico.

A questi fanno da contraltare altri tre affreschi. Nell’Allegoria sul Cattivo Governo, personificato da una figura con le corna, evidentemente il diavolo in persona, i pacifici e costruttivi abitanti precedenti sono sostituiti da altri personaggi: la Discordia, la Crudeltà, l’Avarizia, la Perfidia, Frode, la Tirannide, la Vanagloria e,quindi, la Guerra gli i cui effetti sono le lotte intestine, rovine in città, campagne desolate, saccheggi, rapine.

Ambrogio Lorenzetti: allegoria del cattivo governo

Ambrogio Lorenzetti: allegoria del cattivo governo

Ora, a parte il valore artistico(grande) del ciclo, uno dei primi di soggetto laico nell’arte del tempo, esso si fa apprezzare anche per la chiarezza con la quale viene espresso il suo messaggio   politico del quale è agevole misurare il grado di attualità.

Lo stato è in pace e prospera  quando i governati possono esercitare le loro particolari attività, quelle stesse attività sulle quali lo Stato si sostiene e che in definitiva sono sue parti organiche, costitutive, mentre i governanti comprendono i bisogni vitali della popolazione quali si trovano riflessi in ideali di pace, giustizia,ecc. e provvedono a riguardo. L’autorità politica giusta è quella che si astiene dall’usare le armi del potere politico per perseguire gli interessi particolari dei componenti. Essa è conseguenza di virtù e sapere, ma  non si costituisce nella sfera dell’astrazione perché deve comprendere gli interessi particolari da volgere a fini di pubblica e generale utilità.

Effetti del Cattivo Governo in campagna

Effetti del Cattivo Governo in campagna

Come scrive G.C.Argan(Storia dell’arte italiana, Vol.2, p.34-36, Sansoni) si tratta di concetti di derivazione aristotelica: la vera natura dell’uomo è la razionalità come si manifesta nella vita sociale, nel mondo dei rapporti umani.

In mancanza di un’autorità giusta, gli interessi particolari, invece di concorrere al benessere generale,manifesteranno la loro essenza perversa e asociale portando, con la rovina dei singoli quella dello stato, la rovina generale.

Quando per difetto di comprensione o per costitutiva inclinazione al male degli individui chiamati a governare, gli interessi di parte e,dietro questi, le partigianerie, gli interessi delle cricche e personali, penetrano nella  sfera del governo, o, detto in maniera più colorita, i diavoli prendono possesso della città, il libero lavoro è sostituito dal desiderio di arricchimento a tutti i costi, mentre frode e  sopraffazione, rapina e violenza prendono il posto dei rapporti fondati sul consenso e il reciproco giovamento.

Per il Lorenzetti di questi notevoli affreschi, lo scatenamento dello spirito parte, della trasformazione della lotta politica in guerra di fazioni, l’emergere delle cricche e dei partiti personali, benché sotto la copertura di frasi altisonanti, è il segno più sicuro che la politica è diventata perseguimento dell’interesse personale, ricerca di privilegi, stipendi,pensioni d’oro. Insomma, acquisto della  roba altrui, furto con destrezza, soprattutto dei più semplici, del popolo  lavoratore troppo fiducioso nella virtù delle proprie mani per poter resistere alle manipolazioni delle idee e della lingua fatte dai loro governanti per impartirgli i salutari insegnamenti su quello che deve sapere.

 

 

DEMOCRAZIA DIRETTA:IL PASSATO D’ITALIA DIVENTERA’ IL SUO AVVENIRE?

Rivolgersi con spirito nostalgico al passato o sperare in un futuro di giorni migliori sono considerati segni di sfiducia nei confronti del presente o, quantomeno, di non trovarsi a proprio agio tra le sue braccia. Quando poi ci si rivolge contemporaneamente al passato e al futuro si può sospettare che sfiducia e  depressione siano arrivate a livelli mai visti prima. Senza cercare di aggiungere altre spiegazioni sulle cause di una simile condizione, del resto fatte oggetto di studi clinici quanto mai autorevoli, limitiamoci per ora a constatare il fatto e a ricordare alcune espressioni ormai sulla bocca di tutti e persino  vergate sulle sacre pergamene. La più caratteristica di esse riguarda il “popolo sovrano”, il quale, come  i re del passato,non manca di essere circondato da cortigiani deferenti e pronti a ubbidire ad ogni suo cenno, che si avvicinano al suo orecchio a testa bassa per sussurrarvi le parole giuste per entrare nelle grazie della maestà sua e si allontanano camminando a ritroso, come si conviene quando si prende concedo dalla fonte del potere,o forse soltanto per raccogliere  le eventuali grazie lanciate nella loro direzione. Purtroppo, il nuovo sovrano repubblicano, in questo simile a quelli di stampo monarchico di una volta,  sembra occupato in pensieri più importanti che non siano quelli su come tenere a bada il servitorame e far marciare le cose per il verso giusto. All’arte del governo, arte difficile fatta più per rendere corrugata la fronte che per tenerla spianata, preferisce occupazioni più dilettevoli, quali ad esempio sognare le vacanza più esotiche e persino andarci, guardare altri che corrono dietro una palla gonfia d’aria standosene comodamente straiati nel salotto di casa, organizzare cenette con gli amici, correre dietro alle donne. Perciò lascia fare troppe cose ai suoi sorridenti e servizievoli rappresentanti e consiglieri, i quali non mancano di assicurarlo che tutto procede come la maestà sua desidera e che perciò stesse tranquillo, facesse buon pranzo e si godesse la fortuna toccatagli tanto più che a tenerlo informato provvedono inviati ordinari e speciali sguinzagliati in tutti gli angoli del regno e persino del mondo.Paolo Michelotto “La democrazia dei cittadini. Gli esempi reali e di successo, dove i cittadini decidono”
Tanti incoraggiamenti a mandare in vacanza i cattivi pensieri sarebbero stati già sufficienti a destare i sospetti anche dei più spensierati sovrani del tempo andato. Invece il nuovo sovrano non vuole guastarsi la digestione o le vacanze prossime venture con cattivi pensieri, ignorando che a tenerlo informato sulle faccende del regno provvede un “sistema dell’informazione”  per il quale le notizie diventano degne di venir diffuse soltanto dopo che sono passate sulla lingua ruvida dei pescecani che ne sono i proprietari quando sono trovati in grado di nutrire gli affari in corso. Sempre più sistematicamente impegnati nell’arte di montare o smorzare l’indignazione del “grosso pubblico”,  alla luce dei riflettori o nascosti dietro le quinte, direttori e rappresentanti di cartacei o televisivi sistemi non disdegnano di convogliarla nei canali dove scorre l’acqua che fa girare i mulini dei rispettivi padroni abili a scremare degli  utili dove ci siano utili da scremare.
Ma nessuno creda che la vocazione dei potenti al sistema si fermi qui,perché non sono pochi i partiti,amministratori del “bene pubblico”, che aspirano a unire al bene comune anche l’utile proprio. Perciò nel nostro paese pullulano i moralizzatori a tempo pieno i quali non smettono di fare la morale al corso delle cose dalle colonne dei giornali o dinanzi alle telecamere accese, quando sono sotto gli occhi del grosso pubblico. Esperti nell’uso delle parole scorrevoli, liquide, e anche vaporose,le più adatte a prendere la forma degli avvenimenti del giorno, da veri idraulici degli spiriti provvedono  in tutte le ore a tener sgombri i condotti dell’indignazione pubblica, di solito intasati dal molto materiale che i tempi sciagurati in cui viviamo vi accumulano per farvi scorrere le informazioni più utili per loro.
Se questo succede in tempi illuminati come i nostri, quando basta schiacciare un pulsante standosene comodamente sdraiati nel proprio salotto di casa per ricevere le notizie dal mondo intero, si pensi che cosa poteva succedere nei tempi bui, quando la vita si svolgeva all’aria aperta e le notizie potevano correre soltanto di bocca in bocca, stando sull’uscio della bottega o conversando degli avvenimenti del giorno nella pubblica piazza, per bene che andasse  illuminata soltanto dal sole. Eppure, alla luce del sole, o all’ombra delle torri civiche, si scambiavano opinioni e informazioni, ci si arricchiva delle idee degli altri senza impoverirsi delle proprie, prendendo le parole  dal serbatoio dove si accumulavano insieme con i fatti della vita privata e pubblica. Allora persino  l’arringatore delle folle desiderava farsi  capire e parlava di cose sotto gli occhi di tutti, usando la lingua comprensibile ai più. Le azioni cominciavano con le cose e nelle cose finivano, perciò si trovavano esposte ai giudizio personale del cittadino che poteva approvare o disapprovare a ragion veduta. La democrazia diretta,  propria come nelle repubbliche cittadine dove le azioni dei governanti erano sempre sotto gli occhi di tutti, presuppone appunti cittadini, persone in grado di decidere con scienza e coscienza.
Le storiche città italiane meritano di venire studiate nelle forme architettoniche e urbanistiche nelle quali anche  l’osservatore meno attento può scorgere il riflesso di una storia che ha ancora oggi molto da insegnarci. Esse  sono ben altre cose che aggregati di pura vita economica come il disorientato osservatore moderno, paragonandole  alle città odierne, potrebbe supporre, ma offrono l’immagine di un principio di vita più vasto, una vocazione culturale, una volontà  politica che il trascorrere dei secoli può aver indebolito ma non obliterato del tutto.
Oggi non è più il tempo delle piazze assolate, trasformate in parcheggi a pagamento, e delle torri civiche, che si limitano a segnare l’ora per gli uccelli. Se si parla, non si parla di cose uscite dalle proprie mani, incardinate in pensieri e parole chiarite dal senso comune, un senso che non rifugge dal dare voce neanche all’ordine civico, ma di parole fabbricate da menti addestrate a farne le repliche adatte a tutte le teste. Insomma, la sedentaria arte dell’ascolto va alla grande, e in questo non si è schizzinosi soltanto se la notizia à confermata dal rappresentante del nostro partito. In quanto a far parlare le cose, esse tutto possono fare, e lo fanno, ma non sanno comunicare, al massimo trasmettono prescrizioni d’uso.
Tutto viene ingerito, se non digerito, con pari indifferenza, perché in fondo non si da’ nessun credito a parole e avvenimenti giunti sino a noi nelle forme evanescenti di suoni e immagini presto sostituiti da altri suoni e immagini. Persino i disastri nei luoghi più distanti ed esotici, dove i morti e feriti si contano a migliaia, giungono alle nostre orecchie senza penetravi perché presto richiamate ai più urgenti problemi del traffico. In quanto poi ai disastri provocati dalle imprese degli eroi del giorno, iniziate a suon di tromba sulla stampa quotidiana e periodica e poi finite male, dove sono in gioco i nostri soldi, dopo essersi scaricate sulla testa dell’ignaro uomo comune con l’imprevedibilità di un uragano, esaurito  lo scatto di rabbia iniziale non lasciano altro che un sentimento di impotenza, che non è precisamente quanto ci vuole per indurre i responsabili, spesso con nome e cognome, a smettere nelle loro imprese e passare a un lavoro più onesto.
Perciò, con la sparizione dei mondi privati e la sua sostituzione con lo spirito del tempo che è in ogni luogo, diventa inutile alzare barricate dinanzi all’uscio perché o spirito del tempo ci entra inc asa senza nemeno bussare. Lo spirito del tempo va  certamente ascoltato ma, per quanto cerchi di insinuarsi, di ripetere che soltanto lui sa capirci,  tenerlo d’occhio per coglierlo in castagna costituisce ancora la più salutare pratica mentale, senza contare il divertimento assicurato.
Insomma,  non ha senso turasi gli orecchi  ma prima di accettarle, le notizie vanno fatte passare nei crivelli dalla trama sottile perche tra i semi che daranno pane non si mischi anche l’oglio. Ascolteremo con sano sospetto  l’impettito informatore ufficiale, mentre la nostra fiducia andrà alle parole titubanti ancora radicate nelle cose che possiamo vedere e toccare noi stessi, agli interessi che aiutano a nutrire il corpo e alle opinioni che tengono in esercizio la mente e aiutano a farci vedere una questione da tutti i lati. Infatti, si ascolta  non per assorbire le verità degli altri, bensì per opporre opinione a opinioni e, nella lotta, dare a tutte la possibilità di irrobustirsi le ossa.
Per comunicare nella nuova città non è necessario vivere e lavorare gomito a gomito e parlare di cose sotto gli occhi di tutti. Gli interessi si allargano in proporzione  ai mezzi di comunicazione disponibili, alle nuove intraprese umane. La piazza elettronica non è limitata dalle architetture dei palazzi   e dai portici, bensì soltanto dalla coscienza dei propri reali interessi e dalla capacità di dare loro una forma che non rifugge dal confronto con le idee degli altri. Arte sottile questa del confronto, e anche faticosa perché dove non cediamo alle lusinghe di chi  dice di essere dalla nostra parte, anzi, di conoscere quello che siamo e vogliamo meglio di quanto sappiamo fare noi stessi, resta soltanto la fatica di separarci da errori nei quali pure ci riconosciamo.
Nel confronto con questa rete di opinioni sorte dalla vita di ciascuno di noi, dai nostri interessi,  con quelle diffuse coi mezzi più potenti, si riconoscono le trame del nuovo potere, la sua tendenza a  non  chiedere il nostro consenso ma a farci credere di conoscere lui il nostro vero pensiero. Esso, padrone dei mezzi di informazione e intrattenimento, esso veramente non vuole il nostro silenzio, ma lavora per fare delle nostre parole la veridica testimonianza del suo potere di condizionarci.
Per ulteriori approfondimenti: www.umanesimopopolare.org
(Settembre 2012)
DEMOCRAZIA DIRETTA:Per saperne di più
1:N.Bobbio:Il futuro della democrazia, 1984, Einaudi
2:Y.Renouard:Le città italiane dal X al XIV secolo,Vol.1 e 2, 1975, Rizzoli
3:Piero Calamandrei:Lo stato siamo noi, Chiarelettere,2011
4:Thomas Benedikter: Democrazia diretta. Più potere ai cittadini, Sonda Edizioni,2008
5:Carlo Cattaneo:La città considerata come principio ideale delle istorie italiane
6:G.C. Rousseau: Il contratto sociale, Ed. Laterza,1997