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ITTIOLOGIA FINANZIARIA(Una scienza utile per sopravvivere nel mondo globale)

Più ci si immerge nelle profondità degli oceani finanziari, più si esplorano i suoi anfratti dove la luce del sole fa fatica a penetrare, più strane creature vengono scoperte, sebbene è da dirsi che non vi manchino nemmeno quelle già studiate e classificate nelle loro attitudini specifiche dai manuali scientifici. Nelle grandi distese oceaniche i loro corpi flessuosi si muovono liberamente e cautamente, come si conviene a persone discrete, senza mai compiere un gesto brusco. Se  lanciano segnali tranquillizzanti, non lo fanno certo perché si sono convertiti a  più miti comportamenti alimentari ma per non allarmare le possibili prede, leste a mettere al riparo il gruzzoletto  faticosamente radunato sotto il materasso. La tecnica mimetica preferita da queste creature sempre affamate consiste nel rivestirsi dei colori che più allettano gli abitanti del reef, a loro volta alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, e se il rosso, il colore dei futuri radiosi, sembra fatto apposta per attirare quanti vivono con la speranza di un pasto gratis, nemmeno l’azzurro, come più facile a mimetizzarsi nell’acqua circostante, viene trascurato.

L’arte mimetica ha la sua utilità perché serve a disorientare le future  vittime le quali, nella loro semplicità e ignoranza delle regole che vigono nei fondali oceanici, scambiano le paroline dolci, che non costano nulla come le promesse, per il dolce che viene servito a fine pranzo. Altrettanto efficace è l’arte intimidatoria, che consiste nel galleggiare mettendo in mostra tutti i denti per far sapere chi comanda. In una simile arte, che si impara ascoltando la voce dello stomaco, serve più la dotazione naturale,  avere denti e artigli affilati ed un  apparato di sensi sviluppato più che negli altri animali e atto a guidare  verso le prede che a questo punto possono soltanto sperare nella velocità delle loro pinne.

Gli squali bianchi sono chiamati in questo modo per avere il ventre di un colore bianco latteo. Ma questa è la sola nota gentile che li  caratterizza perché il loro sguardo di animali preistorici non lascia dubbi sulle loro intenzioni. Possiedono mascelle armate di doppia fila di denti adatti sia per afferrare  e trattenere le prede, che sono soliti  ingoiare per intero, scheletro compreso.  Infatti, hanno un morso caratterizzabile tecnicamente come frontale, a viso aperto, come nella borsa valori, dove effettivamente non si fanno prigionieri, sebbene non disdegnino attaccare lateralmente, da destra o da sinistra per loro fa lo stesso, almeno a giudicare dalle impronte lasciate dai denti sulla carne di quanti hanno avuto la fortuna di  lasciare  nelle loro bocche soltanto una parte di se stessi, oppure scorrendo i loro giornali grondanti di altruismo e solidarietà con quelli che chiamano gli “svantaggiati”.

Preferiscono cacciare nelle profondità dei fondali marini, insieme ad altri mostri voraci, a causa della scarsa luce che vi penetra dall’alto e dove il profano si smarrirebbe nella vegetazione dei termini tecnici e delle leggi che contribuiscono a renderli ancora più impenetrabili, essi trovano l’ambiente più favorevole alla riuscita delle loro imprese. Hanno un appetito insaziabile e in un solo pasto possono ingoiare carne sino ad un sesto del loro peso, come hanno scrupolosamente calcolato gli scienziati del ramo. Cacciano da soli o in branchi, preceduti e seguiti da  codazzi di ciarlieri animali marini dai colori vivaci utili per attirare le vittime predestinate, ricompensati con gli avanzi dei pasti, ma pur sempre sostanziosi. Branchi di questi squali vengono avvistati nel reef caraibico, dove sono una specie protetta dalle legislazioni locali che così diventano benemerite  nei riguardi della protezione di questa speciale fauna marina.

Con tutto il loro appetito insaziabile, si tratta alla fine di animali riservati ed è raro che vengano alla superficie, ma allora, attirati dall’odore dei risparmi dell’ignaro  pensionato o della casalinga ancora più ignara,  prediligono cacciare nelle vicinanze delle banche, soprattutto di quelle dalla denominazione più caritatevole o che addirittura dicono di essere sotto la protezione di qualche santo.

Lo squalo tigre invece usa frequentare le acque base e cacciare di notte, per sfruttare meglio la capacità di visione dei suoi occhi adattati alla vita  notturna. E questo non perché sia stato messo sulla strada del malaffare dalla cattiva compagnia, come si dice di ogni teppista,  ma perché è un delinquente nato. Infatti, dietro la retina ha una membrana che riflette la scarsa  luce notturna  col risultato di aumentarne la capacità di visione.  Si avvicina furtivamente alla preda, che afferra dal davanti e ingoia per intero, aiutato in questo dalle sue mascelle svincolate dal cranio, accorgimento che serve ad amplificare l’apertura della bocca. Come gli altri squali, anche lo squalo tigre è molto sensibile al rumore, a quelli che gli segnalano  l’approssimarsi della preda come agli altri che vengono fatti intorno alle sue imprese che potrebbero metterlo in cattiva luce di fronte all’opinione pubblica del reef. Essi infatti  non prendono sotto gamba la reputazione, soprattutto perché i pesciolini che sono le loro vittime giudicano soltanto sulla base della reputazione, che oggi vengono fate da giornali e televisioni di proprietà degli stessi squali, le sole finestre attraverso le quali essi  guardano il mondo.

Anche lo squalo detto tagliatore ci tiene al rispetto generale, a passare per amico del popolo e del progresso ed è fornito di due formidabili file di denti, una superiore  per afferrare e una inferiore per strappare la carne della vittima, con le quali mette in pratica il suo intento filantropico. Tuttavia, le fauci dello squalo tagliatore sono un giochetto per bambini rispetto a quelle dello squalo della Groenlandia, che si segnala per la sua tecnica raffinata,  certamente frutto di una lunga evoluzione,  che consiste nell’afferrare la preda e poi girare su se stesso per strappare il morso. A sua volta,  con tutti i suoi doni di natura, lo squalo della Groenlandia farebbe una ben magra figura rispetto a quello detto del collare, dotato di un’apertura mascellare enorme che gli permette di ingoiare la vittima per intero. Si dirà che la colpa è della vittima che, mettendo piede in una banca,  si è pure messa in affari con i pescecani, i quali sono così cortesi da  mettere i clienti dinanzi a una selva di clausole la cui oscurità non diminuisce per il fatto che sono scritte in caratteri microscopici. E poi ci si lamenta se i semplici finiscono nelle reti dei complessi. Lo squalo del collare non usa né parole suadenti né ragionamenti capziosi per attirare le sue vittime, ma si limita ad irradiare strane luminescenze colorate che possono andare dal verde al rosso,  per definizione i colori del progresso e dell’avvenire, come ripetono alcune  canzonette un giorno alla moda tra i lavoratori.

Resterebbe da dire qualcosa di un altro insigne abitante degli oceani finanziari: lo squalo balena, il quale deve sì distinta denominazione non tanto alla sua mole, peraltro considerevole, ma per avere al posto dei denti che sembrano fatti apposta all’omicidio o, almeno, al furto violento,  un sistema di fanoni simili a quelli delle balene, adatte più a imprigionare i piccoli animaletti che entrano nella sua bocca che a mordere e lacerare. Le sue abitudini alimentari lo portano quindi a rivolgersi alle “masse” piuttosto che alle prede di grossa taglia, essendo il suo pasto ordinario fornito dai branchi di sardine, che si sentono al sicuro, protette tanto dalla loro piccolezza che dall’anonimato del numero. Le tecniche di caccia dello squalo balena sono perciò più mirate ed elaborate e si giovano della cooperazione di tonni dalla parlantina sciolta, quella che ci vuole per convincere le sardine parlando da uno schermo televisivo, tra i bagliori di luci fosforescenti  che bastano da soli ad abbagliare e incantare lo spettatore serale . Esso infatti si avvicina al branco, apre la bocca e se ne sta immobile mentre i torni si danno da fare per spingere le sardine ad entrarvi, certamente usando gli argomenti più adatti. I quali a lavoro terminato, saziata la loro fame con le briciole lasciate dal padrone,  se ne tornano a casa convinti di aver compiuto opera meritoria, come deve venir considerata quella di dar da mangiare agli affamati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FORMICHE, CICALE E GRILLI: Esiste una via elettronica per la democrazia?

Le formiche, che in fila indiana trascinano il loro peso verso il formicaio, sono silenti. Difficile sentirle protestare, occupate come sono dalla strada da seguire e ad evitare i predatori di tutte le specie sempre in agguato e pronti ad appropriarsi delle fatiche degli altri. Il loro motto è lo stesso di quello adottato dagli sgobboni di scarsa fantasia:”tacere e lavorare” o dai sistemi di governo che pensano a tutto e vogliono evitare ai sudditi la fatica di usare la propria testa. Sono coscienziose e giudiziose, le formiche, e occorre aspettare la sera  perché smettano di lavorare e si preparino per la cena, proprio come fanno molti degli umani.  Ma da questo punto di vista le formiche debbono ritenersi più fortunate degli umani perché i pezzi grossi del formicaio non possono ingurgitare cibo oltre una frazione  del loro peso, per cui  soltanto per la garanzia costituzionale di questa legge di natura le formiche operaie non vanno a letto senza cena. Nella loro semplicità di esseri che vivono a contatto con la terra, trovano naturale persino le catene dalle quali però non traggono materia per sparlare tutte le volte che,muso contro muso, hanno occasione d’incontrarsi ma, ignare di metafore e della retorica da piazza o televisiva, sulle quali si sono costruite e si costruiscono delle vere fortune. Abituate a chiamare pane il pane e  il sudore della loro fronte sudore, non si sognano nemmeno di considerarlo come una punizione inflitta ai figli per i peccati commessi dai più lontani genitori o il segno distintivo di una nobiltà nuova, riservata proprio al popolo lavoratore.

Invece, per le cicale appostate tra i rami delle querce, degli ulivi, dei cipressi(che sono alberi non certi messi per rallegrare i luoghi dei morti) e persino sulle margherite, fiori dei campi, nonché sui rami di altri vegetali della selva italica, le cose vanno diversamente. Spargono il canto sotto il cielo azzurro convinte che niente possa succedere senza un loro commento. E infatti commentano, senza trascurare di  aggiungere che soltanto esse conoscono i reali bisogni delle silenti formiche e sanno rappresentarle nelle istanze costituzionali.  Chi si trova in alto non solo può risparmiarsi le molte fatiche di chi si trova invece a livello del suolo ma può far credere che nel migliore dei mondi possibili le formiche sono state create per lavorare e le cicale per informare, educare, rappresentare e cantare. Così va oggi il mondo e, temiamo continuerà ad andare nel futuro.

L’errore delle formiche non consiste tanto nel lavorare e di chiamare le cose col loro nome, come non può evitare di fare chi lavora per il quale l’azione transita sempre dal soggetto all’oggetto, quanto di ignorare la libertà di manovra nei confronti delle  parole da parte  delle cicale che si guardano bene dal mettersi  a lavorare e, ricche dell’antica arte di chi sa congegnare frasi simili al vero, fanno sempre transitare l’azione sulle spalle dei sottoposti mentre ne dirottano i frutti nelle loro tasche.

Ecco perché è tempo per le formiche di alzare la testa e,invece di lasciarsi cullare dalla musica suadente delle cicale e degli altri parassiti appostati sui rami del bosco, o imprecare  contro il destino cinico e baro, cominciare ad apprendere come snidarli dalle loro comode postazioni senza dover incendiare il bosco e se stesse.

Una via garantita dal successo passato esiste ed è quella che insegna a vedere. dietro gli orpelli del potere, se non di “che lagrime grondi e di che sangue” la sua propensione ai più prosaici abusi, all’ingordigia dell’altrui alla quale non sa resistere, alle menzogne ad essa funzionali, i giochi di parole,e emissioni e le amplificazioni così utili per annebbiare i cervelli degli elettori. Ma siccome una via come questa richiede  tempo e fatiche, nonché letture assai diverse da quelle che sono nelle corde delle formiche, ne resta un’altra più alla loro portata, perchè in fondo si può essere formiche e silenti quanto si vuole,  ma occorre pur usare parole per comunicare e vivere in armonia con gli altri abitanti del formicaio. Da qui per le formiche l’utilità di conoscere come nascono le parole, le quali possono nascere dalle cose e venire al mondo animate da spirito di verità, ma possono anche, animate da intenti che soltanto l’orecchio esperto sa riconoscere,  mettere al posto delle cose la  loro ombra e anche qualcosa di meno denso dell’ombra. Arte nuova che solleva dai luoghi chiusi e spesso silenti in cui si svolge la vita privata alle regioni asciutte della vita pubblica, dove ogni pensiero, anche il più tortuoso, diventato di dominio generale,  può venir giudicato senza che ne riceva torto perché, dove i giudizi si incontrano e confondono le loro acque, i torti di molti si compensano, o almeno si attenuano, per far emergere qualcosa di analogo al vero, quel vero che è medicina per l’anima e suo tonico. Nella libera piazza, dove le libere opinioni hanno accesso e dal confronto emerge quella in grado di esprimerle tutte,  poco spazio resta tanto alle unilateralità delle affermazioni più sicure di sé del padrone della borsa, come alle parole  plastificate del demagogo al suo servizio,  tutte precipitate al rango di opinione che debbono lottare per l’esistenza.

L’arte di farsi sentire pur restando attaccati alla terra e alle cose, dai loro orizzonti all’apparenza ristretti, non è delle formiche né delle cicale. E’ piuttosto arte da grilli che dal loro buco, estro permettendo, non smettono di far sentire una voce che oggi, nell’epoca della comunicazione totale,può giungere alle orecchie di altri grilli e diventare, da opinione personale quale era in partenza, fatto pubblico, a scorno dei gazzettieri e altri fabbricanti dell’opinione pubblica.

Si sottovaluta la portata di questa attività grillesca pensando che sia una conseguenza del mezzo di cui occasionalmente ci si serve. Il suo orientamento generale soltanto in apparenza è lo sfogo di sentimenti repressi, dell’impotenza a cambiare il corso delle cose, soprattutto quando corrono a suo danno. Costretto a prendere forma dal mezzo, lo sfogo  diventa presto opinione. Organizzato, eliminando le inevitabili stonature, può contribuire alla formazione di una coscienza indipendente dai mezzi manovrati dal capitale in veste di informatore ed educatore, una coscienza ritagliata sulle esigenze personali e, proprio per questo,  più sicuramente generale e pubblica.

 

Settembre 2012