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LE RAGIONI DI UN FORUM DEGLI ITALIANI

Le potenze finanziarie e partitiche che controllano l’informazione usano fare un gran rumore attorno a quelle notizie che tornano loro comodo farci conoscere, talché ben pochi di quegli altri fatti che le vede come protagoniste riescono a filtrare il velo di silenzio che le nasconde alla vista del normale cittadino che ne è nel contempo anche vittima. Non discutiamo qui delle tecniche più in voga messe in atto per dare ad ogni notizia la colorazione desiderata, la capacità di  colpire il lettore nell’organo prescelto, quale la paura di perdere il suo o la speranza di acquistare dell’altro.  Serviti  da stuoli di fabbricanti di frasi a pagamento, nella loro costruzione di reti per catturare gli speranzosi pesci  desiderosi soltanto di veder confermate le ragioni dei loro amori o delle loro avversioni, trasformano notizie, che in un mondo normale sarebbero puri fatti di cronaca, in eventi cataclismatici o salvifici, e, da parte opposta, assottigliano le loro imprese che seminano lutti e rovine sino al punto da renderle trasparenti sino all’invisibilità. Il lettore frettoloso  che tutte le mattine vuole sapere se il mondo nel quale  la sera precedente è andato a letto si trova ancora al solito posto, quindi incapace di accorgersi della manovra ordita alle sue spalle, sarà persino grato al suo giornale perché gli racconta con dovizie di particolari l’ultimo episodio scandaloso che ha avuto come protagonista qualche nemico del padrone che paga le spese della carta e dei giornalisti che vi scrivono sopra. Se poi  la manovra mimetica non sortisce gli effetti voluti, c’è sempre quella diversiva, che consiste nel fare dell’ultima impresa amorosa dell’attricetta famosa per esibire i suoi glutei rosei ad ogni occasione un avvenimento del quale è obbligatorio esser informati. Mentre di fronte a tutto questo dichiariamo di non voler gridare allo scandalo ma che, al contrario, lo consideriamo conforme all’ordinario corso delle cose, nel senso di così va il mondo, dichiariamo pure la nostra diffidenza, che confina con l’indipendenza, nei confronti dei  creatori della pubblica  opinione, o, almeno, di quella più alla mano della quale si può parlare al bar o in tram con la speranza di venir compresi .

Esiste infatti un’altra via   per immettersi nelle correnti dove circola lo spirito del mondo, più scorrevole rispetto alla carta stampata. La via di grande traffico delle informazioni, quindi delle verità destinate a durare alcuni secondi, è in funzione in tutte le ore del giorno e della notte, alimentata da quanti vogliono venderci quacosa, dalle notizie del giorno alle verità del secolo, preoccupati di salvare  l’anima di gradi e piccoli. La nuova via non ha le rugosità della carta stampata, con le sue parole pronte a ingoiare il lettore nei secondi sensi ma, scorrevole come la chiacchiera degli imbonitori, fa muovere il lettore in circolo da un’idea fatta all’altra, sistema sublime  per fargli credere che il mondo per lui non ha più segreti, evitando il ricorso alle iniziative personali che non si sa mai come finiscono, quando è più riposante giudicare usando la testa degli altri.

Questo problema del giudicare è molto importante, e noi siamo tra quelli che non lo  prendono  sottogamba, ma, al contrario, lo reputiamo decisivo per quanti non solo vogliono vedere con i propri occhi ma coltivano pure l’ardire di  giudicare con la propria testa, pretesa sempre inquietante per quanti invece coltivano l’arte di dispensare consigli non richiesti.

La comunicazione, che abbiamo visto come fattore alla base del legame sociale, è motivata  dall’interesse comune a scambiare opinioni e informazioni in vista di una chiarificazione reciproca o di una migliorata conoscenza delle  cose. Da qui l’apprezzamento per lo scambio, la richiesta di chiarimenti, l’obiezione,  invece che per  l’l’imbecca, le informazioni che viaggiano in un solo senso, i giudizi preconfezionati nelle catene di montaggio dell’opinione pubblica ai quali non è possibile aggiungere o togliere niente.

Giudicare infatti non può risolversi in una faccenda privata, perché usa il mezzo sociale per eccellenza del linguaggio. D’altra parte, non si può dire che per esprimere un proprio pensiero occorra aspettare di sapere che cosa ne pensa il mondo, o coloro che si dicono suoi padroni. Nel giudicare, il soggetto ha davanti un’esperienza che è  sua e di nessun altro e il suo giudizio raggiungerà l’oggetto al quale è diretto se trova il punto di convergenza tra il non detto delle sue percezioni, e persino l’indicibile, e il troppo detto del quale si alimenta l’opinione pubblica, un’impresa che rende onore alla filosofia come all’arte che se ne occupano. Il giudizio si rivolge al mondo e a noi stessi e si attende di venir giudicato a sua volta dal mondo e dalle persone.  Per questa sua ambivalenza, possiamo dire che si trova nel punto in cui  individuo e società s’incontrano, si riconoscono  e si determinano nelle reciproche caratteristiche. La conclusione da trarre da tutto questo  è che  l’opinione pubblica non costituisce qualcosa di astratto, che riguarda soltanto alcuni poteri che si caricano del fardello di informare e istruire gli ignoranti, ma si forma insieme con quella personale, così come questa cresce con la prima della quale rappresenta il momento molecolare.

Nella comunicazione, sequenza di scambi e di mediazioni, il soggetto giunge a conoscere meglio tanto se stesso che la società e il mondo. Una migliorata conoscenza delle condizioni del mondo e la chiarificazione degli intenti, propri e degli altri, sono fatti per  condizionarsi  a vicenda e si realizzano con l’istituzione di relazioni di natura sociale, comprese quelle relazioni finalizzate allo scambio di valori economici o, per essere più precisi, quegli impegni e patti sui quali si sostiene la vita materiale di tutti, si realizzano organizzazioni finalizzate a qualche scopo comune e si giunge a quelle determinazioni all’origine dei fatti a produrre i quali sono istituite.

 

Bibliografia

G.Mounin: Guida alla linguistica, Feltrinelli, 1982

G.Mounin: Guida alla semantica, Feltrinelli, 1983

G.Calogero:Le regole della democrazia e le ragioni del socialismo, 2012.

 

 

POPULISMI E POLITICISMI(Le basi della partitocrazia)

Invece che di popoli, oggi si fa un gran parlare del populismi da parte tanto dei politici di professione che dei rappresentanti dei trust editoriali finanziari dai quali i primi prendono ordini, se si tratta di politici di seconda linea, o contrattano, come fanno quelli di prima linea.  La situazione insolita, o sin troppo solita,  può destare l’allarme di quanti hanno motivo di osservare il progressivo arretramento dei popoli che vanno perdendo sempre più  posizioni oggi giorno che passa e sono costrette a rinunciare a nuove aspettative, in ogni caso merita qualche riflessione. Quanti  non si contentano di ripetere le parole d’ordine messe in circolazione dai signori del denaro, che come lo spirito regnano in terra, in mare, nell’aria e in ogni altro luogo, dandosi a vedere come Jehova soltanto nelle tempeste finanziarie scatenate sulla testa dei popoli che non riconoscono la sua potenza e saggezza, può scorgere l’opera di qualcosa nello stesso tempo  nuovissimo e antichissimo.

Il ruolo eminente di indicare la direzione di marcia della civiltà un giorno era assegnato ai padroni  del vapore, o da coloro che volevano toglierli di mezzo mettendosi al loro posto per far lavorare il vapore a beneficio di tutti e non di pochi.  Purtroppo, da quando nelle nostre contrade  le fabbriche sono state sostituite dai saloni di bellezza e dalle agenzie di viaggi, i popoli non ne vogliono più sapere del vapore e si sono dati ad ascoltare quanti promettono vacanze sempre più lunghe in spiagge sempre più lontane ed assolate o in montagne sempre più alte e innevate. Il tutto, per la gioia delle agenzie bancarie che vanno moltiplicandosi accanto alle agenzie viaggi. La situazione sembrerebbe ideale, o vicino all’ideale, perché in fondo nessuno ha mai creduto veramente alla vecchia favola che bisogna guadagnarsi il pane col sudore della fronte, o che si sia condannati a sudare  nell’età del ferro invece che vivere nell’ età dell’oro, dove se si suda è nelle palestre per smaltire il grasso accumulato con diete eccessive.

Sembrerebbe, perché il passaggio da un mondo di mestieri a uno in cui si attende il fine settimana festivo per sfogare i desideri repressi nei giorni feriali ha avuto anche la conseguenza di  separare l’uomo da quello che fa, dalla conoscenza degli oggetti che usa e quindi anche della  conoscenza di se stesso e degli altri, arte indispensabile per guidarsi e non farsi guidare, nelle cose piccole come in quelle grandi. Senza un vero interesse in ciò che fa, l’uomo motorizzato può  rinviare a data da destinarsi l’incontro con se stesso, il quale peraltro è destinato a sfuggirgli perché, alimentato dal pensiero e dalle opere, dagli incontri e dagli scontri con gli altri, esso non può che deperire in mezzo ad oggetti che non guardano in faccia a nessuno e tantomeno parlano al cuore o alla testa.

In altri tempi la politica era  l’arma di difesa e attacco da parte di un ceto medio istruito e intraprendente  in lotta con un potere monarchico che usciva dalle battaglie e dai tornei medievali, dove al minimo diverbio  si facevano roteare le mazze ferrate, non rispondeva dei suoi atti e tassava senza chiedere  alcun parere ai sudditi ma anzi mandando esattori armati di picche a bussare alle loro porte e imprigionando i renitenti , che non è un bel modo di discutere. Con la politica si voleva superare la frantumazione degli interessi che esponeva  quel ceto alle rapine di un potere che non sapeva e voleva spiegarsi. Insomma, si comprendeva che le pacifiche attività del fare e scambiare possono prosperare soltanto con quell’organizzazione delle volontà individuali con cui moltiplicare la forza di ciascuna di esse. Se sulle sue bandiere scriveva libertà di associazione, di stampa e opinione era perché si riconosceva che la via dell’organizzazione passa per la formazione di un’opinione pubblica, nella quale tutte le opinioni personali, invece di venire rigirate nelle teste dove hanno agio di indurirsi, o confondesi nell’indistinto di un valore medio nel quale le differenze spariscano,  trovano il modo per chiarirsi a se stesse e agli altri e diventare così principio d’azione. Grazie alla sua capacità di saper leggere nei fatti del mondo, capacità che non si acquista certo subendoli bensì  producendoli, questo ceto poteva armarsi di quelle istituzioni di garanzia che rompeva la trama del potere, il suo istinto a far riferimento soltanto su se stesso, e lo costringeva a spiegare e ad ascoltare le spiegazioni dei sudditi.

La premessa ci offre l’occasione per caratterizzare i populismi odierni come quei movimenti in cui si esprimono i sentimenti confusi di una  generalità che nei giorni delle speranze superlative, non molto lontani, si radunava nelle piazze per esprimere  a furia di slogan battaglieri definitive verità storiche e dialettica,  ripetute ogni fine settimana per renderle anche più convincenti. Oggi che gli slogan di una volta non sono più in grado di canalizzare gli scontenti nelle direzioni precise stabilite dai loro creatori,  nessun argine si oppone all’irruzione nelle teste delle passioni che sogliono muovere i popoli, soprattutto quelli dal sangue caldo ma che non lasciano indifferenti nemmeno quelli dal sangue freddo. Il cambiamento non è passato inosservato ai professionisti della spiegazione  che vanno assicurando,  a chi li sta a sentire, che non siamo in presenza di un logica conseguenza del tramonto delle spiegazioni a furia di slogan bensì di una pericolosa degenerazione che ha colpito i popoli ormai orfani delle spiegazioni storiche e dialettiche che un giorno illuminavano le menti e scaldavano i cuori.  Invece di rispettare il profondo istinto dei popoli i quali hanno intuito che la concentrazione degli interessi della quale vediamo ogni giorno gli effetti non può che avvenire a suo danno, essi, alleati con quello della spiegazione a pagamento, vanno ripetendo che è lo spirito di solidarietà, materialistico, cristiano o capitalistico, oggi quanto mai attivo, a volere tutto questo,  mentre  la politica non fa che combinare guai.

Il politicista si presenta dunque come l’esatto contrario, o l’esatto complementare, del populista. Se costui entifica i desideri e timori dei popoli senza preoccuparsi di interpretarli, senza quindi farne con la comunicazione  forze in grado di promuovere  più razionali forme di vita sociale, il politicista si fa un punto d’onore nel coprire con un linguaggio dal vago aroma  politico gli interessi dei poteri che non hanno altra giustificazione che la capacità di pagare coloro che li difendono contro quei popoli ai quali hanno estorto e continuano ad estorcere fatiche e risorse. In altre parole, i  popoli reagiscono istintivamente all’indottrinamento di idee generali e generose  al quale vien sottoposto dal politicista, sospettandovi sotto a ragione qualche secondo fine, ma senza dare ai suoi bisogni una forma tale da trasformarle in scopi e azioni all’altezza dei problemi da cu sono attanagliati.

A questo punto, l’intento del politicista diventa scoperto. Egli non ha soltanto di mira i vantaggi del potere per se stesso e i suoi protettori, ma pensa anche a come  renderli permanenti perché riconosce che il nemico da cui guardarsi è l’organizzazione degli sfruttati, perché ogni volta che si trama contro la politica lo si fa in nome dello sfruttamento delle minoranze organizzate contro la maggioranza disorganizzata.

In ogni caso, l’apparizione nella nostra epoca di entrambi i personaggi segnala il nuovo equilibrio di forze che si va instaurando nell’arena sociale, dove il denaro, finalmente libero da ogni intralcio morale, politico, religioso, e persino dal dovere della spiegazione, può mettere al suo servizio un potere tecnico che per principio rinuncia cercarne.   Rese impenetrabili le decisioni politiche alle normali intelligenze che giudicano dai fatti che percepiscono o che esse stesse contribuiscono a produrre, i partiti diventano associazioni di privati in lotta per conquistare i favori dei signori del denaro, processo che ha acquistato il nome malfamato di partitocrazia.  I politicisti non hanno più nemmeno bisogno di rispondere agli elettori, bastando loro rispondere ai signori del denaro che li sostengono con la loro stampa. Si tratta alla fine di un notevole progresso rispetto alle ingenue richieste di libertà di opinione, di associazione e di stampa che caratterizzavano l’attitudine culturale, sociale e politica del ceto medio agli albori dell’epoca moderna, nonché la sua comprensione che la via dell’emancipazione può passare soltanto per l’organizzazione. Con i mezzi di informazione in mano ai padroni del denaro, nel mondo dei populisti-politicisti le opinioni con diritto alla circolazione saranno soltanto quelle messe che garbano a quanti le producono e ne traggono vantaggio e che nello stesso tempo, fanno capire ai  popoli che le sue disgrazie sono il risultato della sua scarsa propensione, che invece è straboccante nei capitalisti,  ad andare al soccorso di quanti soffrono.

GLI SQUALI BICEFALI (Su alcuni mostri marini che frequentano i nostri mari)

Gli abitanti della penisola godono di un privilegio unico di cui sono privi i meno fortunati abitanti di altre contrade. Infatti, i mari italiani, accanto alle specie di pescecani descritti nell’articolo: Ittiologia finanziaria e che si trovano anche altrove, godono della presenza e delle attività di una specie singolare, ben acclimatata soltanto nelle acque vicine alle nostre coste.  Essa, per la sua singolarità,  non trova ancora spazio adeguato nei manuali economici che si stampano nei paesi progrediti, i quali sono tali per rifuggire dai fenomeni estremi, da quegli scherzi della natura in cui questa rivela la sua indifferenza per le leggi del giusto e del bene, ubbidendo essa all’altra legge, quella che è sua e di nessun altro, del mordere per non essere morsi.

Intendiamo parlare dello squalo bicefalo, animale assai simile ai nostri trust editoriali finanziari che ha trovato nell’ambiente del progressivismo televisivo le condizioni più propizie per prosperare. Possedendo due teste, possiede pure due bocche, e un tanto dono di natura gli conferisce il diritto ad occupare un posto speciale nella linea evolutiva della specie. Doni che peraltro sono impiegati bene, perché una bocca gli serve per ringhiare quando al suo orecchio sensibile  arriva qualche minaccia per le fortune degli azionisti di riferimento, come pure per uggiolare di piacere quando  al suo naso anche più sensibile giunge  l’odore di qualche buono affare. Ma non si pensi che manifesti sentimenti e pensieri soltanto abbaiando, come si conviene alla sua natura canina, perché, quando lo ritiene opportuno, non sa trattenersi dal dispensare al popolo notizie debitamente manipolate, vale a dire, minimizzate o amplificate secondo il caso,  oltreché  utili insegnamenti, profondi consigli  ed elevati principi, tutti  al fine di restare devoto agli amici del popolo, che per puro caso coincidono con gli uomini pubblici fatti eleggere con ben orchestrate compagne e mandati a sorvegliare i flussi di denaro, caso mai dimenticassero la strada.

Del resto, avere un pubblico educato a dovere e consigliato su tutto  è pure quello che ci vuole per creare quelle influenze così preziose alla parte mordace, quella che bada alla sostanza, qualcosa che si può mettere sotto i denti o infilare nella borsa.

Infatti, disponendo di un pubblico ben addestrato, con la visione del mondo più moderna, non ci vuole poi tanto a trasformare alcuni avvocati metropolitani o di provincia in rappresentanti del popolo da infilare  nella stanza dove vengono prese le decisioni che contano, quelle che fanno viaggiare i soldi da una tasca all’altra,  e ogni speculatore di borsa sa quanto vale avere in materia informazioni attendibili prima degli altri.

Ci si potrà chiedere perché simili scherzi dell’evoluzione abbiano trovato nel nostro paese le condizioni migliori per prosperare. La domanda è pertinente e merita una risposta benché per rispondervi non occorra scomodare la storia, che pure ha le sue colpe, perché in tempi non troppo lontani, ci si doveva piegare al gabelliere protetto dall’armigero straniero e benedetto dal prete nostrano, sebbene cercando sotto banco di comprarlo o nascondergli parte della mercanzia, atti di doppiezza non facili da dimenticare soprattutto se tornano ancora  utili. Per averne conferma oggi, basta seguire gli spettacoli che tutti i giorni vengono ammanniti al popolo col più grande apparato di parole grosse, gesti rituali e vesti confezionate per confermare e santificare tanto le parole che i gesti e che tengono gli occhi delle masse rivolti in alto e le bocche spalancate. Si dirà che qui si tratta di antiche pratiche pensate da cervelli formatisi in epoche di oscurantismo definitivamente fugate dalla luce del progresso e dai megafoni funzionanti al massimo del volume dei suoi odierni rappresentanti. Ma non è così, perché gli amici del progresso, dato il cervellone che si ritrovano,  reso peraltro ancora più voluminoso dai libroni infallibili letti nelle lingue originali o in traduzioni, vanno assicurando di avere le spiegazioni di tutte le questioni intricate, le risposte a tutte le domande, tanto da risparmiare ai seguaci la fatica di capire da sé come stanno le cose che li riguardano, soprattutto perché si cade nel peccato di individualismo nocivo alla marcia della storia, che deve riguardare tutti. A capire ci hanno già pensato loro e voler usare la propria testa rappresenta un peccato spiegabile  soltanto con l’esistenza di un residuo di oscurantismo non ancora fugato  dalla luce delle verità storichee dialettiche

Siccome abbondano di spiegazioni, una merce senza la quale si rischierebbe di iniziare la giornata all’oscuro di come va il mondo, e quindi esposti al pericolo di deragliare, i signori che hanno fatto delle spiegazioni  la scala per salire agli alti scranni, non potevano che allearsi con quelli che si limitano a piegare i fatti di cronaca, essendo la cronaca più vicina al modo di sentire e pensare dell’uomo della strada quando invece di rivolgere gli occhi al cielo,o alle nuvole, deve guardare dove mette i piedi. Ne è nato un sistema di potere costruito sulla diffusione dei lumi  irradiati dalle eterne verità, per meglio nascondere nelle zone d’ombra che persino tanta luce finisce per proiettare,   quelle verità prosaiche, come evitare che il cavalcavia  cada sulla testa  dell’automobilista di passaggio o che il pensionato possa dormire i suoi sonni senza doversi svegliare in piena  notte con un coltello vicino alla sua gola mentre gli si intima di rivelargli dove ha nascosto la pensione.

Questa doppiezza che non potrebbe non scandalizzare altrove, tra quella prosaica gente che si limita a fare i conti col presente piuttosto che a immaginare i futuri più radiosi, da noi viene vista come la necessaria dote per ben vivere, avere seguaci pronti ad urlare o ad applaudire ad ogni  comando  e fare carriera. Così da noi anche la sardina più innocua, lo sgombro più attento alle sue cose, ha trovato conveniente nel loro piccolo farsi crescere due teste e sentirsi all’altezza dei tempi e dei maggiori pescecani, riempirsi la bocca di frasi sulla giustizia e sull’ingiustizia in attesa di mettere sotto i denti quelle pietanze più sostanziose che l’esercizio del potere non manca di destinare a quanti possiedono due teste.