Questo non è un tentativo di recupero archeologico fatto da uno che vive con la testa rivolta all’indietro, ma una proposta per comprendere la natura dei problemi attuali e come venire alla loro soluzione. Quindi, lungi da noi l’intenzione di metterci ad idoleggiare le nostre città storiche, o di rinchiuderci tra le loro mura, perché quello che vogliamo fare è soltanto rilevarne alcuni valori di portata universale, rimasti come incapsulati in spazi cittadini troppo limitati e difficili da cogliere per l’occhio del turista frettoloso. In questo senso, Firenze si offre come caso esemplare.
Se, come scriveva Mario Cipolla, all’ombra dei campanili si scorge il mondo, all’ombra dei campanili di Firenze si ha non solo modo di scoprire il mondo moderno allo stato embrionale, ma anche la forma che prende nella gioventù piena di balde speranze e audaci progetti di vita. Ci limiteremo a dare alcuni cenni della questione sulla quale si sono esercitate le forze di numerosi studiosi alla ricerca, in piena età matura, di come si era nei verdi anni, o di come si potrebbe essere ancora se le speranze di un giorno lontano avessero preso corpo (vedere in particolare Konrad Burdach: Umanesimo, Rinascimento, Riforma).
La prima osservazione da farsi in proposito riguarda la vita sociale, della quale la città medievale, con i suoi fossati, le mura a difesa da eventuali assalitori e le relative feritoie a offesa dei medesimi, rappresenta forse l’emblema più evidente, il linguaggio caratteristico di un mondo che si chiude per meglio aprirsi a questioni di un altro ordine, diciamo di un ordine superiore. Vogliamo invece parlare di Firenze nella sua dimensione culturale, culla della lingua italiana, che già sarebbe un bell’argomento da portare a sostegno della tesi enunciata nel titolo del nostro lavoro. Soprattutto, vogliamo parlare della funzione che esercita la lingua la quale, mentre si forma, forma nello stesso tempo coloro che la parlano. Come scrive Stefano Guazzo nella sua La civile conversazione (1574): “la medesima natura ha dato la favella all’uomo, non già perché parli seco medesimo,…,ma perché se ne serva con gli altri; e voi vedete che di questo istrumento ci serviamo in insegnare, in dimandare, in conferire,in negociare, in consigliare, in correggere, in disputare, in giudicare, in esprimere l’affetto dell’animo nostro, co’ quali mezzi vengono gli uomini ad amarsi, e a congiungersi fra loro”(citata in E. Garin: L’umanesimo italiano, Bari, 1984,p.180). E lo stesso Garin continua:”Ma la lingua non è solo il tessuto connettivo dell’umana società; è la vivente tradizione del sapere umano,per cui la scienza si realizza e si trasmette: ‘non si può ricevere alcuna scienza, se non ci è insegnata da altrui…la conversazione non è solamente giovevole, ma necessaria alla perfezione dell’uomo’.
Anzi principio e fine di ogni sapere è proprio questo dialogo umano(‘il sapere comincia dal conversare e finisce nel conversare ’), in cui non solo si mette alla prova il nostro sapere, (‘la disputa è il cribro della verità ’), ma si sveglia l’anima nostra,e si incita a feconda ricerca“(ibidem).
Queste idee del Guazzo, ‘gentiluomo piemontese ’, erano proprie dell’umanesimo fiorentino, della sua concezione dell’intera vita sociale e dell’educazione del giovane, che nel dialogo si impadronisce delle cognizioni apprese dai genitori e maestri, dei loro valori, nonché della formazione e del significato dell’opinione pubblica. Infatti a Firenze si sviluppa “una nuova prassi educativa fondata su una chiara presa di coscienza dell’autonomia e dell’originalità dell’infanzia,sulla comprensione e sulla discussione piuttosto che sulla forza e sull’autorità fine a se stessa. Insomma, i borghesi fiorentini.….riscoprono quei precetti di educazione della volontà, di pratica dello sforzo, di formazione sperimentale fondata sugli scambi sociali, che vengono teorizzati nello stesso tempo dagli umanisti” (C.Bec: Cultura e società a Firenze al tempo di Filippo Brunelleschi, in A.V.:Filippo Brunelleschi. La sua opera,il suo tempo, Firenze,1980,p.21). La famiglia, primo nucleo sociale, condivideva con la società la pratica della mutua educazione tramite il dialogo tra i suoi componenti, dialogo che non escludeva le giovani generazioni, al fine di trasmettere loro i valori degli adulti.
Il dialogo, creando il tessuto delle umane relazioni, chiarendo le idee di coloro che vi partecipano, prepara anche alla produzione delle opere più diverse, i frutti dell’ingegno umano, dagli edifici sacri e profani, alle opere degli artigiani chiamati a darvi il loro contributo. L’educazione umanistica è necessaria all’architetto, all’urbanista, così come a tutti coloro che concorrono alla loro opera, e il curioso che passeggia per le vie di Firenze compie nello stesso tempo un corso completo di educazione umanistica, che, per quanto detto sopra, è insieme educazione estetica e scientifica.
Nel caso di Firenze, l’intera città, dalla piazza centrale sino al più piccolo vicolo, si presentava come foro, il luogo degli incontri e delle opere, in cui risuonava la comune favella che per essere sulla bocca del popolo non per questo era meno capace di dare luce ai pensieri, meno ricca di sensi. Essa si sviluppava dall’insieme delle attività che fervevano entro le mura della città, dalle opere degli ingegni eminenti e da quelle dell’umile artefice che per questa via si elevava sino al rango di una coscienza di sé, della vita comune e delle cose del mondo, delle quali costituiva anche lo spirito animatore.
Ma la scienza moderna, nata a Firenze o per opera dei suoi figli, preparata dall’educazione umanistica, non si realizza senza una presa di coscienza che va oltre l’educazione umanistica stessa. Essa infatti richiede un di più, che forse essa non sa esprimere sebbene implichi o manifesti sotto altre forme. La scienza infatti, sebbene si alimenti delle linfe che circolano nella coscienza e nel linguaggio, i suoi caratteri genetici le sono conferiti dall’osservazione, dall’esperienza con le cose e, in seconda istanza, pure con gli uomini. Se infatti nell’edificazione dei numerosi palazzi ad uso pubblico o privato predominavano valori armonici, a loro volta non in contraddizione con le proporzioni che ne garantivano la necessaria stabilità, con una matematica platonica attenta ai valori estetici, nell’edificazione della grande cupola del Duomo ai criteri estetici Brunelleschi doveva aggiungere cognizioni di altro genere, cognizioni che oggi chiameremmo scientifici, di scienza obiettiva, governanti i rapporti tra le cose dove non regnano armonie, e ,se vi regnano, non sono armonie percepite da orecchio umano ma soltanto dalla mente (P.Sanpaolesi:Le conoscenze tecniche di Brunelleschi, in ibidem,p.145 e segg.).
Come si vede, non è poco, sebbene visitando Firenze, studiando quanto vi ha depositato la storia, vi si possa trovare anche di più, una sintesi nella quale tornano a incrociarsi le numerose strade prese dalla vita spirituale e materiale moderna.
Ulteriori indicazioni si possono trovare nel saggio: E.Petaccia:Che cos’è l’umanesimo popolare?(Una cultura per modernizzare il paese), Milano, 2011.